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68 PIATTI. ANTONIO FERRETTI. LODI, 1770-1780 CIRCA
Assortimento di 68 piatti manifattura Antonio Ferretti

Assortimento di 68 piatti
Manifattura Antonio Ferretti
Lodi, 1770 – 1780 circa

Maiolica decorata a policromia a piccolo fuoco

Misure:

6 piatti ovali da cm 27 x 22
1 piatto ovale cm 28 x 23
6 piatti ovali cm 32 x 25
3 piatti ovali concavi cm 32 x 25
3 piatti ovali cm 36,5 x 26,5
5 piatti ovali cm 43,5 x cm 26
8 piatti ovali cm 24×19
36 piatti rotondi diametro cm 23
Peso totale 34 kg

Stato di conservazione:

i piatti sono intatti, fatta eccezione per due piatti tondi da cm 23 restaurati e per la presenza di poche lievi incrinature e di piccoli sbecchi d’uso in qualche esemplare

La grande collezione di piatti in analisi raccoglie tutte le forme piane tipiche degli assortimenti della produzione dei Ferretti: dal grande piatto ovale di portata (cm 43,5), di forma esalobata e orlo arrotondato e centinato, fino al piatto da posto con bordura analoga. Tutti i pezzi sono apodi e interamente smaltati. Molti dei piatti recano al verso il segno di una pennellata blu che indica all’interno della manifattura il tipo di decoro da realizzare sul pezzo.
Spiccano, per dimensione e ricchezza di decoro, cinque grandi vassoi ovali da portata, anch’essi con tesa rilevata e orlo arrotondato e centinato, che mostrano una grande varietà nella scelta compositiva della decorazione: in due casi arricchita dalla presenza di ben due gruppi floreali principali. La medesima morfologia e ricchezza decorativa emerge anche negli ovali di dimensioni minori, alcuni di forma un po’ più concava, come nel caso di tre esemplari che costituiscono di per sé un interessante insieme collezionistico.
L’assortimento enumera infine 36 piatti tondi, lo spazio ridotto dei quali ha condizionato l’estro dei pittori: tutti presentano un decoro più canonico, quasi stilizzato, entro schemi più rigidi rispetto alle manifestazioni dell’ornato che si preserva meglio nelle opere di dimensioni maggiori.
Il gruppo di maioliche costituisce un esempio e un campionario assai articolato del decoro denominato negli inventari coevi a “fiori alla Strasburgo”.
Non solo vi compaiono varie tipologie di fiori di campo, come il Myosotis o “non ti scordar di me”, il ranuncolo, il fiordaliso, la campanula, la primula, ma anche altre specie coltivate e molto in voga nel XVIII secolo, come la rosa, il garofano o il prezioso tulipano; un profluvio di colori e di varietà che hanno reso questo decoro uno dei più richiesti dalle corti e dalle grandi casate nobiliari del Settecento.
L’ornato è incentrato su di un bouquet principale caratterizzato da un fiore dominante, di maggiori dimensioni, da cui si dipartono rami secondari con fiori minori; in posizione più defilata compaiono elementi accessori, piccole roselline e fiori selvatici.
Questa scelta decorativa rappresentò un punto di forza della fabbrica lodigiana che si affermò grazie alla vivacità dei colori resa possibile dall’introduzione della nuova tecnica perfezionata da Paul Hannong a Strasburgo e che Antonio Ferretti aveva introdotto in Italia. Questo processo produttivo, denominato cottura a “piccolo fuoco”, consente di utilizzare un maggior numero di colori rispetto al passato; in particolare fu introdotta la porpora di Cassio, un colore rosso a base di cloruro d’oro, che consentì di ottenere molte più tonalità e sfumature, dal rosa al porpora.
La famiglia Ferretti aveva cominciato la propria attività di fabbricazione di maioliche a Lodi dal 1725.
Il capostipite Simpliciano aveva dato l’avvio all’attività acquistando una antica fornace nel 1725 e, nell’aprile dello stesso anno, abbiamo testimonianza della piena attività dei forni (Novasconi-Ferrari-Corvi, 1964, p. 26 n. 4). Simpliciano aveva avviato una produzione d’eccellenza anche grazie alla proprietà di cave di argilla in località Stradella, non lontano da Pavia. La produzione ebbe un tale successo che nel 1726 un decreto della Camera di Torino giunse a proibire l’importazione di ceramiche forestiere, soprattutto da Lodi, per tutelare la produzione interna (G. Lise, La ceramica a Lodi, Lodi 1981, p. 59).
Nelle fasi iniziali la manifattura produceva maioliche dipinte con tecnica “a gran fuoco”, spesso in monocromia turchina, con ornati derivati da moduli compositivi in voga in Francia a Rouen, anche grazie alla collaborazione di pittori della stregua di Giorgio Giacinto Rossetti, che poneva sui migliori esemplari il proprio nome accanto alla sigla della fabbrica.
Nel 1748 Simpliciano fece testamento (Gelmini, 1995, p. 30) nominando erede universale il figlio Giuseppe Antonio (detto Antonio). Dopo il 1750, scomparso Simpliciano, Antonio si occupò direttamente della fabbrica di maioliche, elevandone le sorti fino a raggiungere una reputazione a livello europeo. Particolarmente importante fu proprio la già citata introduzione nel 1760 della innovativa lavorazione “a piccolo fuoco”, che, ampliando il repertorio ornamentale con temi floreali d’ispirazione sassone, poté competere commercialmente con le porcellane tedesche che avevano nel Deutsche Blumen naturalistico una delle sue proposte più rinomate.
Antonio Ferretti comprese e promosse questa tecnica e questo decoro, riproponendolo in una versione più fresca e corriva, meno legata alle tavole botaniche, in versione contornata o scontornata e anche in monocromia porpora o verde.
Dopo queste felici esperienze con l’introduzione di tecniche produttive più industriali, anche la manifattura Ferretti, nell’ultimo decennio del Settecento, si avvia verso la decadenza, nonostante i tentativi di adeguare la produzione al gusto neoclassico.
Nel 1796 la battaglia napoleonica per la conquista del ponte di Lodi sull’Adda compromise definitivamente le fornaci. La produzione riprese, anche se in maniera abbastanza stentata, fino alla scomparsa di Antonio il 29 dicembre 1810. (M. L. Gelmini, pp. 28-30, 38, 43 sgg., 130-136 (per Simpliciano); pp. 31 sgg., 45-47, 142-192 (per Antonio).

Bibliografia:

C. Baroni, Storia delle ceramiche nel Lodigiano, in Archivio storico per la città e i comuni del circondario e della diocesi di Lodi, XXXIV (1915), pp. 118, 124, 142; XXXV (1916), pp. 5-8;
C. Baroni, La maiolica antica di Lodi, in Archivio storico lombardo, LVIII (1931), pp. 453-455;
L. Ciboldi, La maiolica lodigiana, in Archivio storico lodigiano, LXXX (1953), pp. 25 sgg.;
S. Levy, Maioliche settecentesche lombarde e venete, Milano 1962, pp. 17 sgg.;
A. Novasconi – S. Ferrari – S. Corvi, La ceramica lodigiana, Lodi 1964, ad Indicem; Maioliche di Lodi, Milano e Pavia (catal.), Milano 1964, p. 17;
O. Ferrari – G. Scavizzi, Maioliche italiane del Seicento e del Settecento, Milano 1965, pp. 26 sgg.;
G. C. Sciolla, Lodi. Museo civico, Bologna 1977, pp. 69-85 passim;
G. Lise, La ceramica a Lodi, Lodi 1981;
M. Vitali, in Storia dell’arte ceramica, Bologna 1986, p. 251;
M. A. Zilocchi, in Settecento lombardo, Milano 1991, pp. 492-496;
M. L. Gelmini, in Maioliche lodigiane del ‘700 (cat. mostra Lodi), Milano 1995, pp. 31 ss., 45-47, 142-192;
R. Ausenda (a cura di), Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche. Tomo secondo, Milano 2000, pp. 213-220;
Felice Ferrari, La ceramica di Lodi, Lodi 2003.
 

Cover Photo: Fabrizio Stipari