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COPPIA DI PIATTI TONDI E UN PICCOLO VASSOIO OVALE

Coppia di piatti tondi e un piccolo vassoio ovale

Coppia di piatti tondi e un piccolo vassoio ovale
Manifattura Antonio Maria Coppellotti
Lodi, 1745 circa
Maiolica a policromia a gran fuoco

Misure:

Dimensioni piatti: diametro cm 24, altezza cm 2
Peso: g 300 ognuno
Dimensione vassoio: cm 24 x 21, altezza cm 2
Peso: g 300

Stato di conservazione:

i piatti sono intatti, salvo lievi cadute di smalto e usure. Il vassoio mostra una rottura netta ripristinata con restauro antiquariale sul fronte, ma leggibile al verso.

I tre piatti hanno una morfologia tradizionale priva di anello di appoggio, con tesa breve, appena inclinata e dal profilo mistilineo; l’orlo è mosso, centinato e listato con due sottili linee parallele di colore rosso ferro aranciato cui si associa una sottile linea blu ondulata nel vassoio.
La decorazione è realizzata in policromia a gran fuoco su uno smalto spesso, di colore bianco crema con qualche punta di spillo.
Il decoro a gruppi di fioretti parte da due larghi ciuffi di foglie lanceolate e si diffonde in fronde simmetriche che interessano la tesa per allungarsi in mezzo al cavetto, centrato, nel solo piatto ovale, da un piccolo asterisco.

Un confronto prossimo ci deriva da un vassoio ovale che reca al verso la sigla AMC, oggi conservato nelle raccolte del Museo d’Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano (R. Ausenda, a cura di, Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche. Tomo secondo, Milano 2000, p. 190, n. 230). La presenza della marca nell’esemplare di confronto conferma l’attribuzione di queste eleganti creazioni a fioretti “ferrosi” a gran fuoco che caratterizzano una specifica produzione di opere su forme tipiche della produzione lodigiana della prima metà del secolo XVIII. Altri esemplari di confronto sono pubblicati nei repertori monografici. Tra questi si ricorda un’inusuale caffettiera con forma mediorientale già esposta al Museo Poldi Pezzoli nella celebre mostra del 1964. Nella medesima esposizione si riconoscono anche una zuppiera e una zuccheriera tutti coerenti per scelta decorativa (G. Gregorietti Museo Poldi Pezzoli, Maioliche di Lodi, Milano e Pavia (catal.), Milano 1964, n. 46). Più insoliti, per morfologia e ornato, una caffettiera e una brocchetta nelle quali il decoro è associato alla raffigurazione di un “castelletto” che spesso veniva utilizzato nella produzione ceramica lombarda in generale (Felice Ferrari, La ceramica di Lodi, Lodi 2003, pp.118,119; nn. 33-34, e M. L. Gelmini, Maioliche lodigiane del ‘700, Milano 1995, pp. 102-103; nn. 83-87).

I tre piatti sono dunque opera certa della manifattura lodigiana di Antonio Maria Coppellotti, di cui seguono tutti i canoni compositivi.
La perizia pittorica dei decoratori lodigiani, soprattutto nel controllo dei colori, fece scuola: il rosso, proveniente da cave orientali ormai esaurite, e denominato “bolo armeno”, era controllato in cottura grazie all’applicazione di una sottile pennellata di smalto sopra la sezione interessate dalla cromia in modo da contenere la “bollitura” della stessa in cottura; si arrivò a esiti notevoli nei quali il rilievo e il colore rosso – arancio contraddistinguono la produzione.

Le prime notizie dei Coppellotti come famiglia di ceramisti, derivano da documenti di archivio che, tra il 1639 e il 1641, testimoniano la richiesta ufficiale, di un certo Giovanni Coppellotti, alle autorità competenti per l’apertura di una fabbrica di maioliche a Lodi.
La fabbrica, collocata nelle vicinanze della chiesa di S. Filippo pare aver avuto da subito di una discreta affermazione. Tuttavia è solo nel 1679, quando la direzione della fabbrica passò sotto la guida di Antonio Giovanni Maria Coppellotti – figlio o forse nipote di Giovanni – che la produzione raggiunse l’apice del successo, al punto da divenire modello di ispirazione per le principali manifatture italiane dell’epoca, soprattutto in Veneto e in Liguria.
L’attività proseguì sotto la direzione di Anton Maria junior fino al 1750 circa, per riprendere, dopo una breve interruzione, con Bassano Coppellotti in collaborazione con alcuni altri direttori, tra i quali si ricordano G. Moroni, Giulio Berinzaghi e, dal 1771, i Pedrinazzi.
Nel 1787 un’ordinanza comunale ordinò la chiusura definitiva della manifattura a causa delle difficoltà finanziarie.

Le maioliche della fase iniziale sono caratterizzate dall’uso di uno smalto spesso, vellutato e da ornati che vanno dal monocromo turchino, con motivi all’italiana – rovine, castelletti, fiori, o alla francese – “rabeschi”, ramage – fino a decori alla maniera delle porcellane cinesi e d’ispirazione orientale. Di particolare pregio gli ornati alla frutta barocca nei quali l’uso del rosso denominato “bolo armeno” perviene a stupefacenti effetti a rilievo. Questa grande varietà di decori si manifesta già tra il 1735 e il 1740 quando, accanto alla produzione in monocromo turchino, si afferma la policromia ancora realizzata con tecnica a gran fuoco. Rara la marca, che denota con certezza le maioliche della fabbrica, che utilizza un monogramma “AMC” intrecciato, talora in colori differenti e in alcuni casi accompagnato dai nomi dei pittori e dei modellatori della manifattura.

Bibliografia:
  • C. Baroni, La maiolica antica di Lodi, in “Archivio storico lombardo” LVIII, 1930, pp. 448 s., 455-457;
  • A. Minghetti, I ceramisti italiani, Roma 1946, p. 129;
  • Maioliche settecentesche lombarde e venete, Milano 1962, pp. 15-17, tavv. 121-150;
  • G. Gregorietti Museo Poldi Pezzoli, Maioliche di Lodi, Milano e Pavia (catal.), Milano 1964, pp. 15 s., con ill.;
  • A. Novasconi – S. Ferrari – S. Corvi, La ceramica lodigiana, Milano 1964, pp. 23, 27, 34-36, 47, ill. pp. 53-121;
  • O. G. C. Sciolla, Museo civico di Lodi, Bologna 1977, pp. VIII s.; tavv. pp. 72-76, 78;
  • M. L. Gelmini, Maioliche lodigiane del ‘700, Milano 1995, pp. 102-103; nn. 83-87
  • R. Ausenda, a cura di, Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche. Tomo secondo, Milano 2000, p. 190, n. 230;
  • Felice Ferrari, La ceramica di Lodi, Lodi 2003, pp. 118-127