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Caffettiera Antonio Maria Coppellotti

Caffettiera Antonio Maria Coppellotti
MAIOLICA E PORCELLANE

Caffettiera
Manifattura di Antonio Maria Coppellotti
Lodi, 1740 circa
Maiolica decorata a policromia a gran fuoco

Misure:
Diametro cm 43,5;
Diametro del piede cm 29,3;
cm 20 x 16,5 x 13; peso g 561
Stato di conservazione:
la caffettiera è in ottimo stato di conservazione fatta eccezione per alcune sottili e irrilevanti fêlure da calore lungo il corpo e qualche sbeccatura d’uso. Il coperchio è restaurato.

La caffettiera, dal corpo piriforme costolato, allargato e panciuto, poggia su un piede piano appena visibile, ha il versatore a becco e ansa sagomata; il coperchio è appena rilevato, baccellato e sormontato da un pomolo a bottone (di restauro).
La forma è tipica delle opere prodotte dalle manifatture lodigiane della prima metà del XVIII secolo e trae spunto da modelli di argenteria.
Il decoro, a policromia realizzata a gran fuoco, mostra sul fronte del contenitore una coppia di figure vestite “alla turca” su una zolla aerea: la donna seduta e l’uomo che si accosta in piedi tra due alberelli.
Su un lato, sempre su una zolla, si scorge un’architettura con torri e, sull’altro lato, su due zolle separate, un cerbiatto e un uccello a terra presso alcuni alberelli. Completano la composizione insetti e farfalle alcune delle quali dipinte sull’ansa. Il coperchio, coerente per forma, reca un ornato con rocaille stilisticamente differente dal resto della composizione.
Sotto il piede è dipinta la marca con monogramma “AMC”, qui associata alla scritta “Lodi” in blu cobalto.

La caffettiera si può attribuire con certezza, grazie alla marca, alla nota manifattura lodigiana di Antonio Maria Coppellotti negli anni attorno al 1740 circa, quando la fabbrica abbandona i canoni decorativi barocchi per sposare le nuove tendenze della moda tra le quali quella dei “paesini e figure”, che enumera pochi e rari esemplari conosciuti di forme chiuse e un numero maggiore di forme aperte.
La caffettiera è stata esposta nella celebre mostra sulla maiolica lombarda nel 1964 (G. Gregorietti, Maioliche di Lodi, Milano e Pavia, catalogo della mostra, Museo Poldi Pezzoli, Milano 1964, n. 72) e reca tuttora l’adesivo dell’esposizione sotto la base.
Reca anche l’etichetta di Rodolfo Subert, mercante antiquario e bisnonno di chi scrive, il cui negozio in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano fu distrutto dai bombardamenti nell’agosto 1943.

Un esemplare di confronto, privo di coperchio è conservato al Musèe national de la Céramique a Sévres (inv 02CE4592- 908511). Un altro esemplare, anch’esso privo di coperchio, è presente in una collezione privata (Felice Ferrari, La ceramica di Lodi, Lodi 2003, p. 157).

Le prime notizie dei Coppellotti come famiglia di ceramisti, derivano dai documenti di archivio che, nel 1641, testimoniano la richiesta ufficiale, di un certo Giovanni Coppellotti, alle autorità competenti per l’apertura di una fabbrica di maioliche a Lodi.
La fabbrica, collocata nelle vicinanze della chiesa di S. Filippo pare aver avuto da subito di un discreto successo. Tuttavia è solo nel 1679, quando la direzione della fabbrica passò sotto la guida di Antonio Giovanni Maria Coppellotti – figlio o forse nipote del soprannominato Giovanni – che la produzione raggiunse l’apice del successo al punto da divenire esempio per le principali manifatture italiane dell’epoca soprattutto in Veneto e in Liguria. Nel 1728 la fabbrica si dovette spostare fuori dalla cerchia muraria per volere delle autorità che temevano la possibilità d’incendi. L’attività proseguì fino al 1750 circa, anno della morte di Anton Maria, per riprendere in seguito con il figlio, Bassano Coppellotti, sotto la guida di alcuni altri direttori tra i quali si ricordano: G. Moroni prima seguito da Giulio Berinzaghi e nel 1771 Pedrinazzi. Infine nel 1787 una nuova ordinanza comunale ordinò la chiusura definitiva della manifattura.
Le maioliche della fase iniziale sono caratterizzate dall’uso di uno smalto spesso, vellutato e da ornati che vanno dal monocromo turchino, con motivi all’italiana – rovine, castelletti, fiori-; alla francese – “rabeschi”, ramage – fino a decori alla maniera delle porcellane cinesi e d’ispirazione orientale. Di particolare pregio gli ornati alla frutta barocca nei quali l’uso del rosso denominato “bolo armeno” perviene a stupefacenti effetti a rilievo. Questa grande varietà di decori si manifesta già tra il 1735 e il 1740 quando, accanto alla produzione in monocromo turchino, si afferma la policromia ancora realizzata con tecnica a gran fuoco. Rara la marca, che denota con certezza le maioliche della fabbrica, che utilizza un monogramma “AMC” intrecciato, talora in colori differenti e in alcuni casi accompagnato dai nomi dei pittori e dei modellatori della manifattura.

Bibliografia:

C. Baroni, La maiolica antica di Lodi, in “Archivio storico lombardo” LVIII, 1930, pp. 448 s., 455-457.
A. Minghetti, I ceramisti italiani, Roma 1946, p. 129.
S. Levy, Maioliche settecentesche lombarde e venete, Milano 1962, pp. 15-17, tavv. 121-150.
G. Gregorietti Museo Poldi Pezzoli, Maioliche di Lodi, Milano e Pavia, catalogo della mostra, Milano 1964, n. 72.
A. Novasconi – S. Ferrari – S. Corvi, La ceramica lodigiana, Milano 1964, pp. 23, 27, 34-36, 47, ill. pp. 53-121.
O. G. C. Sciolla, Museo civico di Lodi, Bologna 1977, pp. VIII s.; tavv. pp. 72-76, 78.
M. L. Gelmini, Maioliche lodigiane del ‘700, Milano 1995.
Felice Ferrari, La ceramica di Lodi, Lodi 2003.

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